John Berger e Giuseppe Cederna interpretano La Tenda Rossa di Bologna

Tra gli eventi che ho potuto seguire in questa undicesima edizione del Festivaletteratura di Mantova c’è la performance di due tra i più eclettici artisti ospiti della rassegna: John Berger e Giuseppe Cederna.

Nel quadro suggestivo e raccolto del cortile del Castello di San Giorgio, lo scrittore ottantenne inglese ha presentato in una lettura a due voci –e due lingue, inglese e italiano- un racconto pubblicato in edizione limitata proprio in occasione del Festival.

Per più di un’ora la voce di questi due artisti ha trasportato gli spettatori nella storia di un viaggio nella città di Bologna compiuto da uno zio dell’autore, lo zio Edgar, eccentrico e curioso viaggiatore della metà del Novecento.

Lo stesso Cederna –attore di cinema e di teatro, scrittore e viaggiatore a sua volta- ci confidava come alla fine, dopo aver letto ed ascoltato più volte il resoconto della vita di questo strano personaggio, avesse cominciato a confondere alcuni tratti della persona con quelli del nipote e narratore John Berger, e avesse iniziato a considerare quest’ultimo come fosse un suo zio, in un gioco di ruoli curioso ed insolito.

Cederna e Berger si sono alternati alla lettura descrivendo la personalità stravagante dello zio, appassionato scrittore di lettere, avido lettore, pacifista e anticonformista sotto molti aspetti, con la passione per i viaggi e per l’osservazione del mondo. Una di quelle persone insomma verso le quali viene spontaneo sentirsi attratti per l’originalità del punto di vista e, contemporaneamente, l’imperturbabile tranquillità.

Lo zio Edgar dunque compie un viaggio a Bologna e, al suo ritorno, ne dà una descrizione minuziosa e delicata al nipote, attenta ai particolari, che la rendono viva, vibrante.

Parla ad esempio dei portici e delle finestre che vi si affacciano, che spesso sono riparate da tende rosse: “non è un rosso argilla e neppure un rosso terracotta, è un rosso rosso. Dall’altra parte ci sono dei corpi e i loro segreti, che dall’altra parte non sono segreti.”

Berger si è occupato spesso di analizzare la questione dello ‘sguardo’ sul mondo; ha scritto alcuni saggi interessanti sull’argomento (vedi Sul guardare, Bruno Mondadori o Modi di vedere, Bollati Boringhieri)e del resto ha cominciato la sua carriera artistica come pittore.

Il suo sguardo è però sempre acuto e puntuale, mira al cuore delle cose, o a raggiungerne l’intima realtà: la qualità di rosso nelle strade di Bologna, il sapore dei cibi che si possono gustare (come i passatelli venduti in un sacchetto di carta spessa o la mortadella più buona del mondo, quella che si trova in un negozio di via Marsala), la luce soffusa che si spande nel negozio di stoffe, “come se nel corso degli anni i rotoli di stoffa avessero emanato una finissima, invisibile polvere di cotone bianco.

Alla fine ci rendiamo conto di quanto Berger assomigli allo zio Edgar: forse è proprio questo che vuole, che lo confondiamo con lui e ce lo immaginiamo passeggiare per le strade della città gettando occhiate curiose dietro le tende rosse di Bologna.


Due incontri con Haim Baharier al Festival Letteratura di Mantova

Il Festival Letteratura di Mantova è un appuntamento annuale che aspetto sempre con grande entusiasmo: scandisce la fine dell’estate regalandomi una serie di suggerimenti per le letture invernali o dandomi la possibilità di approfondire la conoscenza di alcuni autori che amo.

Quest’anno –tra agli altri- ho avuto modo di seguire le ‘lezioni’ di Haim Baharier, studioso di ermeneutica ed esegesi biblica già molto apprezzato nell’ambiente milanese, città dove abita con la famiglia.

Nasce a Parigi da genitori ebrei di origine polacca e studia con alcuni degli esponenti più importanti del pensiero filosofico francese del Novecento, come Emmanuel Lévinas, Léon Askenazi e il Rabbi Israel di Gur.

Si trasferisce negli anni settanta in Italia continuando a coltivare il suo interesse per la filosofia, ma anche per la matematica, la psicanalisi e lavora come consulente aziendale.

Al Festival ha portato il suo libro La Genesi spiegata da mia figlia (con la quale nel 2006 ha tenuto sei lezioni sull’interpretazione della Torà al Teatro Dal Verme di Milano), ma soprattutto ci ha parlato del pensiero ebraico espresso nelle parole del Pentateuco.

Difficile riassumere in poche righe lo spessore e la profondità delle riflessioni proposte: tutte quante partono da una attenta lettura delle parole dell’Antico Testamento –dalla Genesi per esempio-, ciascuna analizzata nei suoi significati possibili, cercando di far affiorare il pensiero che le sottende.

Il lavoro dell’esegeta è quello di rapportarsi al testo con rispetto ma con spirito critico, cercando di non dar per scontato il significato di ciò che si legge, anzi, di rifiutare la strada già segnata, l’interpretazione scontata –che consola e rassicura–, cercando il percorso del pensiero di Dio attraverso il significato più profondo della sua parola.

Parallelamente, Baharier ci suggerisce di porci nei confronti della vita come si pone la Luna nei confronti del Sole –e di Dio che li ha creati- nel 16° versetto della Genesi: la sua posizione subordinata di astro più piccolo e meno luminoso che, inconsolabile, si oppone ad un destino che sembra segnato.

E’ questa una sorta di ‘ingiustizia fondante’ sentita come dolorosa ma necessaria per dar modo al ‘piccolo’ (la Luna ma anche l’uomo) di usare la sua posizione svantaggiata come leva per raggiungerene una non più subordinata.

Questa protesta deve, secondo Baharier, essere portata avanti sistematicamente, fino a farle assumere un carattere etico di ‘rivoluzione permanente’ del Piccolo che non si rassegna mai alla sua condizione di secondo.

E per lo studioso ciò è possibile solo se il pensiero dell’uomo non si arrende ma cerca continuamente di precisare se stesso, di correggersi, di mutare, di valutare, di criticare, di interpretare.

La responsabilità di noi tutti quindi risiede nella nostra capacità critica di interpretare il mondo e ciò che accade, che diviene un percorso etico identitario in continua evoluzione.

Consiglio senz’altro quindi la lettura di La Genesi spiegata da mia figlia Garzanti, 2006 (curioso e indicativo questo ‘da’ e non ‘a’ mia figlia, infatti nella tradizione ebraica ogni bambino che nasce conserva una sorta di ‘sapienza prenatale’ della parola divina che può essere recuperata attraverso la lettura dell’opera biblica), come testo che propone un approfondimento della parola della Torà, che apre ad una revisione delle proprie convinzioni o che può infondere fiducia nelle possibilità del singolo e nella sua responsabilità attiva di pensiero.

 

Elisa Chiodarelli